Five-Year Outcomes of a Randomized Trial of Treatments for Varicose Veins.

Lo studio CLASS (Comparison of Laser, Surgery and foam Sclerotherapy), randomizzato, multicentrico, su un numero elevato di pazienti trattati, con follow-up a 5 anni, confronta i risultati di laser endovenoso, scleroterapia ecoguidata con schiuma e chirurgia tradizionale (crossectomia+stripping) nel trattamento della vena grande e piccola safena refluente.

Gli scopi primari sono stati la valutazione della qualità della vita e del rapporto costo-efficacia.

I parametri di qualità della vita sono stati migliori dopo laser endovenoso e chirurgia, rispetto alla scleroterapia. I modelli probabilistici di costo-efficacia hanno indicato il laser endovenoso come opzione migliore di trattamento.

Questi dati confermano, con un follow-up a 5 anni, le conclusioni di NICE del 2013

Brittenden J, Cooper D, Dimitrova M, Scotland G, Cotton SC, Elders A, MacLennan G, Ramsay CR, Norrie J, Burr JM, Campbell B, Bachoo P, Chetter I, Gough M, Earnshaw J, Lees T, Scott J, Baker SA, Tassie E, Francis J, Campbell MK.

Feasibility and safety of flush endovenous laser ablation of the great saphenous vein up to the saphenofemoral junction.

La persistenza, alla giunzione safeno femorale, di un moncone residuo di 1-2 cm dopo laser endovenoso con fibre radiali e laser 1470 nm, è stato spesso considerato la causa di una incidenza maggiore, rispetto alla chirurgia tradizionale con crossectomia radicale, di reflussi residui o recidivi nel moncone safenico e della progressione del reflusso nella safena accessoria anterolaterale di coscia con possibile comparsa di varici recidive.

Questo studio monocentrico e retrospettivo ha valutato i risultati del posizionamento della fibra radiale a raso della giunzione safeno femorale con lo scopo di ottenere un risultato anatomico simile alla crossectomia chirurgica (laser crossectomy) e di evitare la persistenza di un moncone residuo alla giunzione.

Su un totale di 135 pazienti consecutivi, in 8 la procedura non è stata tecnicamente eseguibile.

Sono state diagnosticate solo 2 EHIT, uno tipo 2 e uno tipo 3.

Gli autori concludono perciò che la tecnica è fattibile e sembra sicura.

È da segnalare che gli autori hanno una grande esperienza di laser endovenoso; hanno utilizzato di routine profilassi antitrombotica e, dato il follow-up breve (6 settimane), non hanno potuto valutare quale fosse il risultato alla giunzione a più lungo termine e se questo tipo di trattamento avesse ridotto i reflussi giunzionali e della safena accessoria di coscia.

Spinedi L, Stricker H, Keo HH, Staub D, Uthoff H.

Morphological Comparison of Blood Vessels that were Heated with a Radiofrequency Device or a 1470-nm Laser and a Radial 2Ring Fiber.

Si tratta di uno studio sperimentale ex-vivo, in cui segmenti di tronco safenico, prelevati con uno stripping invaginante, sono stati trattati con laser endovenoso 1470 nm e fibre radiali 2R (ELVeS) o radiofrequenza closure fast.

Il trattamento con closure fast è consistito con un ciclo di 20 secondi a 120 gradi (che è il trattamento consigliato nella pratica clinica); il trattamento con ELVeS è consistito nella erogazione di 60 o 90 Joules/cm.

I segmenti trattati sono stati esaminati con istologia tradizionale. Il danno termico istologicamente dimostrabile è stato compatibile con un quadro di basse temperature per la radiofrequenza e di media o alta temperatura per il laser endovenoso. Nei trattamenti di laser endovenoso, quello con 90 Joules/cm ha prodotto un danno termico della vena più intenso e profondo.

Yamamoto T, Sakata M.

Histopathologic Differences in the Endovenous Laser Ablation Between Jacketed and Radial Fibers, in an Ex Vivo Dominant Extrafascial Tributary of the Great Saphenous Vein in an in Vitro Model, Using Histology and Immunohistochemistry.

Si tratta di uno studio sperimentale ex-vivo, in cui segmenti extrasafenici, prelevati durante un intervento di stripping, sono stati trattati con laser endovenoso 1470 nm e fibre ottiche radiali (ELVeS) o fibre “jacketed”. Queste ultime sono fibre a emissione frontale e presentano una protezione terminale (cappuccio) che ha lo scopo di evitare il contatto della fibra con la parete venosa.

Sono stati testati, per entrambe le fibre, vari livelli di densità di energia, da 20 a 80 Joules/cm, con potenza di 10 Watt.

È stata condotta una analisi istologica ed immunoistochimica dei segmenti trattati.

Si è riscontrata una significativa differenza tra i due tipi di fibre. Con le fibre radiali il danno istologico è stato più omogeneo, non hanno causato né lesioni da contatto né carbonizzazione e hanno danneggiato completamente la parete venosa con una densità di energia di 60 Joules/cm, Viceversa le fibre jacketed hanno mostrato una ablazione asimmetrica con carbonizzazione.

Il danno omogeneo e circonferenziale e l’assenza di lesioni da contatto con carbonizzazione potrebbero spiegare i tassi di ablazione venosa molto alti e l’ottimo decorso post-operatorio della tecnica ELVeS.

 

Ashpitel HF, Dabbs EB, Salguero FJ, Nemchand JL, La Ragione RM, Whiteley MS.

Clinical research study – Superficial venous disease

L’articolo del 2018 di Lawson et al. confronta i risultati a 5 anni di follow-up di trattamenti di vene grandi safene refluenti con radiofrequenza (closure fast) versus laser endovenoso (laser a diodi 1470 nm e fibra ottica radiale – ELVeS).

I risultati, consultabili sull’abstract, mostrano una sostanziale equivalenza delle due tecniche sotto vari punti di vista (ablazione safenica a 5 anni; intensità del dolore post-operatorio; valutazione della qualità della vita con i questionari VCSS e AVVG; tempistica della ripresa dell’attività lavorativa). Si tratta di un articolo di grande interesse, che merita di essere letto nella sua completezza.

Confronta i due device per la termoablazione della grande safena, che rappresentano il top sia nella radiofrequenza che del laser endovenoso, in uno studio con un follow-up lungo, un campione ampio di pazienti, trattati in un centro chirurgico con una esperienza molto vasta sia di radiofrequenza che di laser. Per quanto riguarda il laser endovenoso ELVeS, viene sfatata definitivamente la “leggenda metropolitana”, probabilmente derivante dai primi trattamenti di laser endovenoso eseguiti con fibre ottiche nude a punta piatta, che il trattamento con laser endovenoso sia più doloroso rispetto alla radiofrequenza.

L’ablazione safenica a 5 anni si dimostra essere molto alta (96%) per entrambe le tecniche, anche se il campione di pazienti trattati presentavano safene di calibro medio modesto  (a metà coscia, 5.5 mm per la radiofrequenza e 5.9 mm per il laser endovenoso). Questo punto è importante perché è noto che l’efficacia della ablazione del closure fast tende a ridursi con i calibri maggiori, specie se si utilizza, come suggerito dal produttore, un solo ciclo di trattamento.

Un ulteriore limite riguarda la metodologia dello studio e la possibilità di utilizzare questi dati come conclusioni evidence based. Non si tratta di uno studio randomizzato, ma di uno studio osservazionale prospettico comparativo con alternanza mensile della tecnica termoablativa utilizzata.

 

Clinical research study: superficial venous disease

Prospective comparative cohort study evaluating incompetent great saphenous vein closure using radiofrequency-powered segmental ablation or 1470-nm endovenous laser ablation with radial-tip fibers (Varico 2 study)

Background

Endovenous laser ablation (EVLA) and radiofrequency-powered segmental ablation (RPSA) of the incompetent great saphenous vein (GSV) are both known for their excellent technical and clinical outcomes for the treatment of varicose veins. RPSA has reduced postprocedural pain and morbidity with shorter recovery time for the patient compared with EVLA using bare-tip fibers. However, new-generation EVLA devices with less traumatic radial-tip fibers (RTFs) operating at longer wavelengths up to 1470 nm also reduce postprocedural pain. The objective of this study was to compare long-term effectiveness of GSV thermal ablation and postprocedural recovery using RPSA or 1470-nm EVLA with RTF (EVLA-RTF).

Methods

In a comparative prospective monthly altering-treatment cohort study of 311 patients (346 treated legs), each leg with incompetence of the GSV was treated with either RPSA (158 patients, 175 legs) or EVLA-RTF (153 patients, 171 legs). The primary outcome was anatomic occlusion of the GSV, assessed at 12, 24, 36, 48, and 60 months using Kaplan-Meier statistics and compared using the log-rank test. Secondary outcomes included freedom of varicose vein recurrence, clinical success measured by Venous Clinical Severity Score (VCSS), disease-specific quality of life determined using the Aberdeen Varicose Vein Questionnaire (AVVQ), postoperative pain scores, and time to return to work.

Results

The total primary obliteration rate after 36 and 60 months was 96.2% with RPSA and 96.7% with EVLA-RTF (P = .81). Freedom of symptomatic anterior accessory vein recurrence after 5 years was 85% after RPSA and 87% after EVLA-RTF (P = .50). VCSS and AVVQ score presented similar and durable improvements in both groups between 6 weeks and 60 months. There was no difference in postoperative pain scores after both treatments during the first 14 days (mean visual analog scale score, 0.54-2.19). The median time for return to work was 1 day after both treatments. No severe adverse events were observed.

Conclusion

RPSA and EVLA-RTF have similarly high GSV obliteration rates in the long term, and the treatments are equally effective clinically. Both treatments are associated with similar minimal postprocedural pain scores and short recovery times.

Le complicanze nei trattamenti di laser endovenoso con fibra radiale: una casistica

Anche con la termoabolazione laser esiste un rischio di eventi avversi, per quanto molto limitato. La complicanza più frequente è la TVP: nei pazienti a maggior rischio trombotico si prescrive una terapia con eparina o con anticoagulanti orali.

La nostra esperienza è iniziata nel 2006, quando abbiamo deciso di occuparci esclusivamente di flebologia, attuando una scelta che per i tempi risultava essere innovativa. Abbiamo perciò aperto dei service autonomi con questa specializzazione, con l’obiettivo di trattare la problematica flebologica a tutto tondo, in strutture pubbliche e private convenzionate del Piemonte. La prima unità è stata avviata presso l’Ospedale Cottolengo di Torino, predisponendo un setting ambulatoriale puro per l’esecuzione della tecnica laser, senza che ve ne fosse ancora un “obbligo burocratico”, setting che poi abbiamo replicato presso l’Humanitas Cellini, sempre di Torino, e presso l’Humanitas Mater Domini di Castellanza, in provincia di Varese, con minime differenze.

ELVeS: un’esperienza pluriennale

La qualità del servizio che riusciamo a offrire ha a che vedere certamente con il setting, ma anche e soprattutto con il personale che ci supporta. È fondamentale, a nostro giudizio, avere in sala operatoria personale dedicato, anche per ottimizzare i costi dell’attività. È seguendo questi principi che abbiamo organizzato tutte le strutture in cui operiamo.

In ciascuna struttura opera, al fianco dell’attività in sala operatoria, un servizio di diagnostica ecocolordoppler e un ambulatorio per le visite flebologiche: è qui che avviene il reclutamento di circa la metà dei pazienti e la gestione del follow-up. Il restante reclutamento avviene direttamente nello studio professionale dello specialista.

Anche la scelta della strumentazione risulta essere particolarmente importante. Dal 2008, cioè da quando è stata introdotta, operiamo esclusivamente con tecnica endovascolare ELVeS con fibra ottica radiale con doppio anello di emissione. Il numero di interventi eseguiti in tutte queste strutture si è attualmente stabilizzato intorno ai 900 casi annui, e abbiamo complessivamente trattato a oggi circa 10mila casi. Le vene su cui operiamo sono: vena grande safena, piccola safena, vena accessoria di coscia, perforanti e recidive varicose con moncone lungo.

Le complicanze della metodica laser

Come in tutte le metodiche chirurgiche, anche nella termoablazione laser esiste, ovviamente, un rischio di eventi avversi. A questo riguardo, non abbiamo mai sviluppato uno studio specifico, prospettico o retrospettivo, delle complicanze sviluppate dai pazienti durante la nostra pluriennale esperienza.

Tuttavia, la totalità dei pazienti che operiamo afferisce direttamente a noi o ai nostri collaboratori e li seguiamo con controlli clinici ed ecocolordoppler anche nei follow-up. Abbiamo, quindi, un’idea piuttosto precisa dei numeri: le complicanze minori o maggiori che si sviluppano in un anno non superano i 30-40 casi.

La prima complicanza da citare è sicuramente la trombosi venosa profonda. Presso le nostre strutture, i casi conclamati, con dolore riferito dal paziente, non superano i 10 casi all’anno, e vengono trattati secondo quanto raccomandato in letteratura. Al paziente viene prescritta una terapia con eparina o, se il caso lo richiede, una terapia anticoagulante orale, ma non sempre si procede a uno screening trombofilico. A questo riguardo va sottolineato che prescriviamo una profilassi con eparina a basso peso molecolare ai pazienti che hanno già una trombofilia nota (e che non siano in terapia con dicumarolici o NAO), nei casi di obesità, o ancora con disturbi di mobilità importanti dati da altre patologie. Ai pazienti ambulatoriali puri, non diamo alcun tipo di profilassi eparinica. Stando alle linee guida internazionali, infatti, non esiste alcuna evidenza netta della necessità di questo tipo di trattamento in tutti i pazienti, ma solo in quelli che appartengono a coorti a maggior rischio, come quelle appena elencate.

Peraltro, dalla letteratura, come dalla nostra esperienza chirurgica, emerge con chiarezza che non è tanto il trattamento laser di una safena a porre il paziente a rischio di una trombosi, quanto invece l’esecuzione di una flebectomia, un intervento accessorio che con il laser non ha nulla a che vedere, anche se spesso si effettua in concomitanza.

Una flebectomia importante è un fattore di rischio perché è associata alla liberazione di un’ampia gamma di fattori infiammatori. Per questo motivo, nel caso siano necessarie flebectomie di enormi dimensioni, scorporiamo l’intervento, d’accordo con il paziente, e pratichiamo due trattamenti distinti: prima il laser e successivamente la flebectomia.

Oltre a questa casistica sulla trombosi venosa profonda, nella nostra esperienza non abbiamo mai riscontrato embolie polmonari o casi di EHIT tipo 2, 3 e 4. Per quanto riguarda i danni neurologici sensitivi, teniamo a sottolineare che nella nostra esperienza sono sempre legati alla flebectomia, e non al trattamento laser. Le lesioni di tipo chirurgico ai nervi degli arti inferiori possono perdurare fino a 18 mesi dall’intervento, ma raramente sono permanenti. Non abbiamo riscontro neppure di lesioni al nervo che decorre in prossimità della piccola safena nel trattamento laser di quest’ultima, contrariamente a quanto riportato in letteratura. Un’accurata tumescenza permette di ridurre al minimo questo rischio, e in questo l’esperienza chirurgica è di grande aiuto.

Un’altra complicanza possibile nella termoablazione laser è la rottura di fibra. Nell’intero arco della nostra attività, ne abbiamo dovute affrontare due: in entrambe la fibra è rimasta lesionata mentre l’operatore eseguiva la tumescenza. In entrambi i casi, siamo stati in grado di recuperarla senza necessità di un’incisione chirurgica maggiore. Nella nostra esperienza, quindi, la rottura è sempre stata provocata da un errore umano e non da un difetto tecnico.

In un altro paio di casi, sul totale dei pazienti trattati, si sono verificate ustioni, anche qui sempre per responsabilità dell’operatore. In entrambi i casi, occorsi nelle prime fasi della nostra esperienza, una volta constatato il danno abbiamo potuto risolvere il problema rimuovendo la losanga di cute ustionata in corrispondenza dell’inserzione del catetere, procedendo poi a effettuare una piccola intradermica per chiudere la ferita.

Real world vs. letteratura

La nostra esperienza chirurgica ha evidenziato una percentuale di complicanze estremamente bassa, soprattutto considerando i dati riportati in letteratura. La ragione di questa discrepanza è da ricercare probabilmente in un bias nei nostri controlli di follow-up.

Nelle nostre strutture siamo soliti visitare i pazienti a tre giorni dall’intervento: effettuiamo un controllo ecocolordoppler per assicurarci che tutto proceda secondo norma nella gamba operata. Non procediamo cioè a un ecodoppler completo, comprendente anche l’arto controlaterale (a meno che non vi sia un sospetto clinico) e così facendo potrebbe sfuggire una trombosi venosa profonda asintomatica controlaterale. Esiste una possibilità, pertanto, che nella nostra attività siano stati sottostimati i casi di TVP. Ma ci sentiamo di escludere che vi siano bias per altre complicanze per danni neurologici, ricanalizzazioni delle vene o embolie polmonari.

La questione di fondo è la modalità di utilizzo nella metodica del laser. Se si procede con una pratica ambulatoriale pura, si esclude tutta una serie di fattori di rischio legati all’immobilità. Anche l’esperienza, come già ribadito, gioca un ruolo fondamentale.

Parola d’ordine: prevenzione

L’approccio fondamentale per evitare complicanze è creare un intervento ambulatoriale puro: la priorità va alla prevenzione della TVP nel post-intervento. In tutti i soggetti che hanno avuto o che presentano al riscontro una pregressa trombosi venosa profonda, procediamo a uno screening per trombofilia prima dell’intervento (in soggetti che non presentano il dato anamnestico di trombosi questo di norma non si fa).

Altre misure preventive consistono nel limitare al massimo sia le flebctomie durante l’intervento sia l’immobilizzazione del paziente nel post-operatorio, ricorrendo alla profilassi con eparina nei soggetti a rischio. A questo riguardo, teniamo a sottolineare che operiamo pazienti in terapia anticoagulante orale, sia con dicumarolici che con farmaci di nuova generazione, senza alcun tipo d’interruzione di questa terapia.

Per quanto riguarda il rischio di danno dei nervi sensitivi, si cerca per quanto possibile di limitare l’impatto della flebectomia, che viene evitata, in accordo con il paziente, se vi sono varici in sedi anatomiche a rischio, in prossimità di qualche ramo sensitivo importante. Eventualmente si procede a effettuare una scleroterapia nel post-operatorio.

Nel caso di un paziente difficile con pluripatologie, la gestione non è complicata, l’intervento laser di per sé ha un’aggressività limitatissima. Quindi la chiusura di una safena, anche in un paziente con ulcere e altre patologie, non presenta criticità.

Figura 1
Figura 2

Conclusioni

Complicanze: il rischio di TVP è legato alla ridotta mobilità post intervento e al dolore spesso legato alla flebectomia più che al trattamento di termoablazione laser.

Prevenzione: per evitare complicanze, la raccomandazione è di predisporre un intervento ambulatoriale puro, limitando al minimo la flebectomia e l’immobilizzazione post-operatoria. Nei pazienti a rischio, sono raccomandati lo screening trombofilico nel pre-operatorio e la profilassi eparinica post-operatoria.

Gestione dei pazienti difficili: la termoablazione laser ha di per sé un’aggressività limitatissima. La gestione dei pazienti con pluripatologie non presenta particolari difficoltà.

La gestione del paziente ambulatoriale: due esempi a confronto.

Vengono messe a confronto le gestioni di due unità operative specializzate nel trattamento delle varici con laser endovenoso, in due strutture di due città e regioni differenti.

Dott.ssa Patrizia Pavei

L’attuale normativa regionale in Veneto riconosce solo il regime ambulatoriale come congruo per gli interventi endovascolari sulle varici, riconoscendone il rimborso al di fuori del DRG.

Nell’Unità Operativa Complessa di Day Surgery multidisciplinare di Padova sono presenti due sale operatorie tradizionali, sei ambulatori visite e due ambulatori chirurgici protetti con una possibilità di degenza di venti posti letto e sei poltrone: l’attività chirurgica ambulatoriale si svolge nei due ambulatori protetti. L’anestesista è presente nella piastra operatoria tradizionale e può essere chiamato, in caso di necessità, negli ambulatori chirurgici protetti.

Nell’ambito della UOC di Day Surgery multisciplinare, la Vein Clinic è giustificata dall’elevata prevalenza e dal notevole costo sociale ed economico della malattia venosa cronica, ma anche dall’esigenza di liberare, per interventi chirurgici più complessi, sale operatorie adeguatamente attrezzate, senza sacrificare il livello di qualità e comfort dell’assistenza al paziente.

Il primo accesso del paziente è ambulatoriale (Figura 1). Lo specialista, dopo l’anamnesi, e l’individuazione della classe ASA di rischio clinico, esegue l’ ecocolordoppler.  Se lo specialista decide di avviare il paziente all’intervento piuttosto che ad altre procedure come la scleroterapia, identifica la procedura chirurgica più opportuna e richiede, se necessario, la visita anestesiologica; i pazienti ASA 1 e 2 sono inseriti direttamente nella lista operatoria.

In occasione di questo primo accesso, il paziente compila inoltre un questionario sul suo stato di salute che entrerà a far parte della cartella ambulatoriale; è anche consegnata e illustrata una “Guida per il paziente che deve essere operato di varici” sviluppata dall’Azienda Ospedaliera di Padova.

Il paziente tornerà nella struttura il giorno del mappaggio preoperatorio, generalmente il giorno prima dell’intervento: questo momento di rivalutazione è fondamentale perché, dal primo accesso del paziente, possono essere passati anche diversi mesi. Oltre alla rivalutazione del paziente, con un ecocolordoppler di controllo, si discutono le istruzioni per il giorno dell’intervento (digiuno, accompagnatore, ecc.) e gli eventuali dubbi residui e si redige il programma della sessione operatoria dell’indomani.

Il giorno dell’intervento, l’accesso dei primi due pazienti è di norma il mattino, alle 7:30, a digiuno e con libera assunzione della terapia medica abituale e incannulando una vena al braccio per precauzione. È permessa la colazione del mattino, se l’intervento è programmato al pomeriggio.

La premedicazione è leggera, quasi un placebo (midazolam, 10 gocce sublinguali). Dopo l’intervento, si ritorna in sala osservazione per un’ora, poi leggera colazione, deambulazione e dimissione. Un primo follow-up telefonico è previsto già la sera dell’intervento. Per quanto riguarda le medicazioni post-operatorie, la prima, programmata dopo 1-2 giorni, è soprattutto di alleggerimento delle medicazioni (le eventuali flebectomie sono di solito eseguite nella stessa sessione operatoria); un altro controllo è previsto dopo 7 giorni associato a un ecodoppler per confermare l’occlusione del tronco safenico e l’assenza alla giunzione di un trombo causato dal calore (EHIT). La visita finale di controllo è prevista dopo 3-6 mesi

Figura 1

01_2_Fig1

Dott. Edoardo De Angelis

Per l’elevata prevalenza, la chirurgia del sistema venoso superficiale è responsabile di un notevole carico di lavoro e di elevati costi sociali ed economici (costi assistenziali diretti, perdita di ore lavorative e di produttività, ripercussioni sulla qualità di vita).

La chirurgia endovascolare, per i costi ridotti rispetto alla chirurgia tradizionale, offre concrete prospettive di risparmio (Figura 2), soprattutto seguendo il modello anglosassone di strutture ambulatoriali piccole, tecnologicamente avanzate e idealmente indipendenti (free standing unit), dove lo specialista opera le varici utilizzando sempre con la stessa tecnica, con una qualità dell’intervento molto elevata e un abbattimento dei costi.

Anche le linee guida SICVE-SIF (Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare e Società Italiana di Flebologia) affermano (punto 5) che le tecniche termoablative endovascolari sono “adatte a un trattamento realmente ambulatoriale”. Analoghe considerazioni valgono per i nuovi LEA dell’anno scorso (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017 “Definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza”), che innova i nomenclatori della specialistica ambulatoriale e dell’assistenza protesica, introducendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed escludendo prestazioni obsolete. Nel caso della malattia venosa cronica, questo significa che l’esecuzione di un intervento chirurgico tradizionale per le varici, codificato con il DRG 119, potrebbe essere ad  “alto rischio di non appropriatezza”.

L’ambulatorio chirurgico di flebologia dell’ospedale di Romano di Lombardia, è il secondo esempio presentato di organizzazione di un servizio ambulatoriale chirurgico di flebologia (Figura 3) ed è stato creato dal nulla nell’ultimo anno in collaborazione con l’Ingegneria Clinica e altre funzioni, ricavando gli spazi necessari dalle volumetrie preesistenti.

L’infermiera che accoglie i pazienti è sempre la stessa; si alternano inoltre due strumentiste e due infermiere, che aiutano anche per l’anestesia. I vari ambienti dell’unico grande locale dell’ambulatorio sono divisi da paratie scorrevoli.

L’arruolamento del paziente con valutazione ecocolordoppler e l’eventuale stratificazione del rischio trombotico avvengono in media circa sei mesi prima dell’intervento; 3-4 settimane prima della procedura il paziente è richiamato, riceve un opuscolo informativo, consegna la documentazione clinica che possiede ed è redatta la cartella clinica.

La mappatura preoperatoria del paziente avviene subito prima dell’intervento; gli arrivi dei primi due pazienti sono programmati per le otto, i successivi per le 10:30 e le 11. Dopo l’intervento, il paziente accede alla sala postoperatoria e vi resta per circa trenta minuti; il tempo medio di permanenza nell’ambulatorio è di circa due ore. Per l’impossibilità pratica di operare nella stessa sessione anche le varici periferiche, questa sono trattate con sclerosi ecoguidata con schiuma in seguito in un tempo successivo.

I controlli con ecocolordoppler sono previsti il giorno seguente e dopo 2-4 mesi; eventualmente, se ritenuto opportuno, anche dopo una settimana. Dal 23 ottobre 2017 sono stati eseguiti nell’ambulatorio 255 interventi.

Figura 2

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Figura 3

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Conclusioni

La procedura ambulatoriale: si ha un costo inferiore rispetto a quelli della chirurgia tradizionale in anestesia spinale.

Il kit monopaziente: il suo costo è completamente ammortizzato dall’attivazione di una procedura realmente ambulatoriale.

Turnover dei pazienti: l’assenza di anestesia spinale permette un più rapido ricambio dei pazienti e consente nello stesso lasso di tempo di effettuare più interventi endovascolari rispetto lla chirurgia tradizionale.

Ottimizzazione dei costi: migliorando i percorsi del paziente con una procedura realmente ambulatoriale si ottiene un guadagno del 30% circa sul valore dei DRG.

Il trattamento dell’ulcera venosa con un tasso di guarigione vicino al 100%.

Grazie alla termoablazione laser, si sono aperte nuove prospettive di trattamento flebologico per i pazienti complessi, che non vengono trattati con chirurgia tradizionale.

La nostra è una peculiare esperienza di collaborazione stabilita da circa un anno e mezzo tra le Unità di Flebologia degli Ospedali di Abbiategrasso e Legnano e l’Unità di wound care dell’Ospedale di Abbiategrasso. Grazie a questo legame, si riesce ad abbinare il trattamento flebologico al trattamento topico con medicazioni tradizionali o avanzate e bendaggi, a seconda della valutazione dell’andamento della lesione e della situazione clinica complessiva, arrivando a ottenere un tasso di guarigione vicino al 100%.

Wound care e flebologia: un binomio vincente

Nell’Unità di wound care, personale infermieristico specializzato, con competenze acquisite tramite formazione accademica universitaria, ha la presa in carico e la gestione di pazienti con ulcere e lesioni cutanee. I soggetti che presentano lesioni vascolari agli arti inferiori – il 70% dei casi – vengono inviati alla chirurgia vascolare precocemente per un primo inquadramento clinico. Quest’ultimo è utile a individuare, per esempio, se si tratti di ulcere venose o arteriose, e in generale se si tratti di un paziente con altre patologie concomitanti, più o meno in compliance rispetto alle terapie mediche e ai trattamenti, in primo luogo al bendaggio e all’elastocompressione.

Generalmente, si tratta di pazienti complessi, con pluripatologie, con compromissione funzionale, od obesi, spesso non autosufficienti e non adeguatamente assistiti. Durante la valutazione e il trattamento nell’Unità di wound care, raccogliamo e trasferiamo informazioni preziose allo specialista che avrà in carico il prosieguo del percorso terapeutico, percorso che potrà essere chirurgico, palliativo o conservativo, a seconda dei casi. Il paziente stesso verrà seguito dall’unità di wound care per le medicazioni anche successivamente all’intervento.

Va sottolineato che l’abbinamento tra la cura medica delle ulcere e il trattamento flebologico chirurgico ha trovato il suo massimo compimento con l’avvento del laser. Grazie a questa metodica, si sono aperte nuove prospettive di cura per tutti i pazienti che, per problemi di condizioni cliniche concomitanti o per età, erano esclusi dal trattamento chirurgico tradizionale.

I segmenti venosi trattati

Presso la nostra struttura, abbiamo trattato e curato diversi segmenti venosi, tra cui, naturalmente, vena piccola e grande safena, perforanti e vene nutrici. Oggi con l’ecodoppler il chirurgo vascolare deve riuscire a identificare i punti di fuga: senza questo è altamente presumibile un fallimento del trattamento, dal momento che ci si può trovare a trattare vene displasiche, crosse anomale e perforanti, che possono influire drasticamente sulla situazione vascolare del paziente.

In questo senso, l’utilizzo di ecodoppler associato alla termoablazione laser, soprattutto con l’avvento delle fibre ottiche slim, ha trasformato in modo radicale il trattamento e la risoluzione dei problemi flebologici, senza dimenticare la facilità del gesto tecnico della legatura di una vena.

L’introduzione del laser nella nostra attività chirurgica ha portato anche a un incremento del numero di interventi effettuati, tenendo conto che inizialmente operavamo solo presso l’Ospedale di Legnano: solo successivamente abbiamo aperto la seconda unità di Abbiategrasso, dove interveniamo esclusivamente con il laser. Con un solo chirurgo, si è arrivati gradualmente a trattare una media di quattro pazienti al giorno, complessivamente una ventina al mese.

Va sottolineato a questo riguardo che il limite rimane di tipo burocratico e di tempo, dal momento che le zone per gli interventi devono essere chiuse per le 13:30. Solo da poco abbiamo disponibile un laser anche a Legnano, e quindi il numero di pazienti trattati non potrà che aumentare.

Bendaggio vs. laser:  il contributo degli studi clinici

Va ricordato che il paziente gestito con trattamento medico (bendaggio e medicazione), viene seguito tre volte alla settimana. In questo modo abbiamo la possibiltà, nel segmento interessato, di ridurre il reflusso e l’ipertensione venosa distrettuale. Con un trattamento medico ben condotto, di norma, l’ulcera può essere guarita. Ma nel medio-lungo periodo, i pazienti che hanno questo problema hanno un’alta incidenza di complicanze e di recidive dell’ulcera, soprattutto per effetto della scarsa accondiscendenza nell’indossare la calza elastica o nel mantenere l’idratazione cutanea.

Gli studi randomizzati hanno mostrato che, rispetto al solo trattamento con elastocompressione e medicazione, il trattamento precoce dei reflussi safenici con tecniche endovascolari accelera la guarigione dell’ulcera stessa (studio EVRA, si veda il box in questa pagina), mentre l’abolizione del reflusso safenico ottenuto con chirurgia tradizionale riduce il tasso di recidiva dell’ulcera (studio ESCHAR, box in questa pagina).

Da questi studi la decisione di trattare il più precocemente possibile il reflusso delle safene e delle perforanti con laser endovenoso ELVeS, con l’obiettivo di ridurre il tempo del trattamento medico e di accelerare la guarigione dell’ulcera stessa. Contemporaneamente, andremo a prevenire in modo più efficace la recidiva dell’ulcera, rispetto anche all’uso permanente della calza elastica, molto spesso omessa dai pazienti.

Come ridurre le “recidive” safeniche?

Una premessa doverosa su questo argomento è che il termine recidiva safenica è improprio, perché chiaramente se la safena è stata rimossa non ci può essere recidiva. Il termine più corretto è ripresa di patologia. La recidiva safenica si avrà solo per un errore tecnico nell’intervento laser. A ogni modo, alla base di ogni intervento deve esserci uno studio flebologico più che accurato, associato a un’adeguata preparazione del chirurgo. Va da sé che l’uso del laser è enormemente più semplice rispetto alla chirurgia tradizionale e questo può indurre un ingannevole senso di sicurezza. Nella realtà esiste un’enorme variabilità nella capacità di uso del laser nei centri ospedalieri, varietà che ha influenzato anche la stesura delle attuali linee guida.

Altri elementi fondamentali per evitare le recidive – o la ripresa di malattia che dir si voglia – sono un gesto tecnico preciso e mirato al trattamento di uno o più punti di fuga e un follow-up adeguato.

Un punto cardine, infine, è chiarire al paziente che la malattia venosa è cronica e non può essere risolta definitivamente dalla chirurgia della safena.

Vantaggi della termoablazione laser

Il vantaggio enorme del laser rispetto alla chirurgia tradizionale è la mininvasività. Se il confronto del laser è con con la scleromousse, gli studi e le linee guida indicano che la differenza non è significativa. Ma nella nostra esperienza, l’ecosclerosi, tende nel tempo a ricanalizzare con più frequenza rispetto a un trattamento con il laser. In altre parole, il laser è definitivo, oltre a essere molto ben tollerato dai pazienti, che hanno la percezione di essere di fronte a un intervento molto più semplice, rasserenante e totalmente ambulatoriale: da qui l’inutilità di esami preoperatori.

La scleroterapia continua a essere vantaggiosa nel distretto sotto-genuale, dove possono manifestarsi problemi come le dermatopatie da stasi. In definitiva, quindi, la tecnica di elezione è la termoablazione laser per la coscia e fino al terzo prossimale di gamba, mentre al di sotto è consigliabile intervenire con la scleromousse.

Quest’ultima è indicata anche in pazienti che presentino ulcere molto vaste, oppure in pazienti obesi o gravemente obesi già sottoposti a terapia chirurgica. Va sottolineato che spesso quella che viene giudicata come una crossectomia mal eseguita risponde a una necessità di scarico di vasi della parete addominale. Lo sviluppo di circoli collaterali nella zona crurale che ne deriva, può creare un quadro non esclusivamente trattabile con il laser. Anche in questi casi, la soluzione ottimale è abbinare la scleromousse per i cavernomi con la termoablazione laser nei punti in cui questi confluiscono in un ramo unico.

Timing e controindicazioni

Come già accennato, il paziente con ulcere afferisce direttamente all’ambulatorio di wound care, e in seguito è indirizzato, in tempi brevissimi, alla chirurgia flebologica. Solo le comorbilità possono influenzare il timing del trattamento, tenuto conto che spesso arrivano alla nostra attenzione quadri clinici molto complessi.

Nel caso si manifestino infezioni importanti, il paziente viene inviato per una valutazione preliminare all’infettivologo, che può decidere di procedere con un tampone colturale e terapia antibiotica mirata per via sistemica, se necessario anche endovenosa. Già così si ottiene una riduzione del 50% dell’area della lesione. L’obiettivo è avere un abbattimento della carica batterica pre-intervento laser.

In sintesi, il paziente deve arrivare al chirurgo con un letto di ferita pronto, senza necrosi o infezioni; comunque, per sicurezza, si effettuerà un tampone anche dopo l’intervento. La mobilizzazione del paziente sarà immediata.  

Figura 1

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Figura 2

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Figura 3

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Conclusioni

Ulcere e malattia venosa: il trattamento di termoablazione laser ha aperto nuove prospettive di cura in pazienti complessi, che difficilmente sarebbero stati trattati con la chirurgia tradizionale.

I cardini per prevenire le complicanze: uno studio preoperatorio più che accurato, un gesto tecnico preciso e mirato al trattamento del punto di fuga, un follow-up ottimale.

Controindicazioni al trattamento laser: le condizioni della pelle non sono una controindicazione al trattamento laser. In caso di infezioni, si procederà a un tampone e a una terapia antibiotica mirata.

Trattamento di una recidiva della crosse safeno-poplitea.

La termo-obliterazione del moncone residuo con metodica laser e fibra ottica SLIM si è rivelata risolutiva in una paziente di 69 anni con un’ampia recidiva di crosse.

Parliamo di una recidiva di crosse nel momento in cui in precedenza sia stata eseguita una crossectomia. Molti studi riportano che questo tipo di recidiva varicosa [Figure 1,2] è dovuta a un moncone safenico troppo lungo, a una neoangiogenesi o alla progressione della patologia varicosa.

Il moncone lungo è dovuto alla mancata resezione a raso sulla vena profonda ed è dal moncone che insorge la recidiva: ne sono la causa una diagnostica non ottimale e un successivo trattamento chirurgico non corretto. La neoangiogenesi, al contrario, si verifica anche dopo una chirurgia radicale e corretta [Figura 3]. Dati riportati in letteratura indicano una minor incidenza della neoangiogenesi dopo un trattamento endovascolare [Figura 4].

Presso la City Clinic di Bolzano, il mio gruppo si è costruito un’esperienza di oltre 15 anni nel trattamento endovascolare, con 6093 casi trattati. La recente disponibilità di nuove tecnologie, con fibre più sottili (fibra SLIM radiale e 2ring) e con frequenze laser differenti, hanno consentito di effettuare trattamenti molto più selettivi. Nello specifico, oggi è possibile sigillare monconi residui che causano recidive di crosse e vene perforanti chiudendo i vasi a raso con il sistemo venoso profondo, senza esporre il paziente a rischi di trombosi (EHIT).

Anamnesi

Si è presentata alla nostra attenzione una paziente di 69 anni sottoposta nel novembre del 1997 a una crossectomia e stripping della vena piccola safena sinistra, che aveva dato luogo a una recidiva due anni dopo. In ecografia, si è evidenziato un reflusso nel moncone residuo lungo 3,6 centimetri. La paziente è stata sottoposta nell’anno 2009 e nell’anno 2012 a una procedura di scleroterapia con scleromousse (Atossisclerol al 3%); alla scleroterapia è stata associata una miniflebectomia. Nel 2016 la paziente si è ripresentata con un’ampia recidiva dovuta al reflusso dal moncone.

Intervento

Nella scelta terapeutica, abbiamo optato per una termo-obliterazione del moncone residuo associata a flebectomia delle vene varicose. In questa metodica d’intervento, si procede sotto guida ecografica a una puntura diretta del moncone (possibile anche con ago cannula) con inserzione della fibra SLIM fino nella vena poplitea. Sempre sotto controllo ecografico, la fibra viene posizionata a livello della giunzione con la vena profonda. In casi di moncone lungo, come in questo, l’incannulamento sotto guida ecografica non presenta problemi. Il fallimento di questo metodo si verifica quando non si riesce a posizionare la sonda nel moncone refluente, a causa di un moncone troppo corto o tortuoso (la nostra casistica riporta un’incidenza del 20% circa dei casi).

La potenza utilizzata è al massimo di 5 watt, in modalità continua. L’anestesia tumescente serve anche a comprimere il vaso sulla fibra. In seguito alla chiusura del moncone, vengono eseguite le flebectomie in anestesia locale.

A seguire, alla paziente viene applicato un gambaletto elastocompressivo di seconda classe, per circa 10 giorni.

Questi trattamenti sono eseguiti in regime ambulatoriale senza necessità di ricovero.

Risultato e follow-up

La paziente è stata sottoposta a un primo controllo postoperatorio a due giorni; mentre gli ulteriori sono stati a 7 e a 30 giorni. Vengono poi raccomandati controlli a cadenza annuale. A distanza di 3 anni il moncone trattato non è più rilevabile. Attualmente la paziente non evidenzia recidive varicose.

Figura 1
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Figura 2
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Figura 3
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Figura 4
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Conclusioni

Il laser nei monconi residui: l’occlusione di un moncone safenico mediante terapia laser con fibra ottica SLIM è un’ottima strategia terapeutica sia a livello popliteo sia a livello inguinale.

L’importanza dell’esperienza: tale trattamento richiede una certa dose di esperienza nel controllo ecografico, nella puntura
del moncone e anche nel posizionamento della fibra. Si raccomanda quindi l’esecuzione da parte di un flebologo esperto in ecografia oltre che in trattamenti termoablativi.

Un’altra opzione: l’alternativa resta la sclero-mousse, che viene scelta quando non sia possibile incannulare il moncone.

Vein clinic: un’esperienza pionieristica in Lombardia.

L’Ambulatorio di Flebologia avanzata dell’Ospedale SS Trinità a Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, rappresenta un unicum nel panorama sanitario italiano: gli ottimi risultati raggiunti dimostrano l’efficacia, anche economica, di un modello di flebologia endovascolare in regime ambulatoriale.

La mia esperienza con l’Ambulatorio di Flebologia avanzata dell’Ospedale SS Trinità di Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, ora considerato un centro di eccellenza nazionale, è nata nell’ottobre 2017. In quel periodo infatti sono stato chiamato dal Dipartimento di Scienze chirurgiche dell’azienda sanitaria di Bergamo Ovest, con il mandato di organizzare una struttura di flebologia in regime prettamente ambulatoriale, seguendo i dettami delle linee guida flebologiche internazionali. Queste infatti prevedono un trattamento ambulatoriale puro, eseguito con terapie endovascolari mininvasive.

L’organizzazione della struttura

Siamo partiti con una struttura dedicata all’attività diagnostica, clinica e operativa, nella sede di Romano di Lombardia, affiancata, una volta alla settimana, dalla struttura di Treviglio, sempre in provincia di Bergamo, solo per l’attività diagnostica. Un ambulatorio, precedentemente utilizzato per gli interventi di chirurgia in anestesia locale, è stato modificato e riadattato per creare un percorso in cui il paziente trova, in sequenza, lo spogliatoio e il bagno, la zona operativa e infine una zona di relax in cui rimane in osservazione per 15-30 minuti, prima di essere dimesso.

Nell’ambulatorio opera personale dedicato, con due strumentisti e due infermiere fuori sala, che si alternano nella sala operatoria. Qualche difficoltà l’abbiamo incontrata inizialmente per il reperimento dell’ecografo, che è uno strumento fondamentale per l’intervento di termoablazione laser, poi risolta grazie alla collaborazione dell’ingegneria clinica.

Da sottolineare che la procedura non richiede la presenza di un anestesista durante l’intervento: è sufficiente che questa figura sia presente nella struttura, in caso di emergenze. Particolare attenzione è stata posta al rilassamento dei pazienti, che vengono operati al buio, con la possibilità di ascoltare della musica, e con la presenza tranquillizzante di tutto il personale. L’utilità di questo approccio è sottolineata non solo dalla soddisfazione espressa dai pazienti stessi, ma anche dai numeri relativi alla sedazione, utilizzata in una percentuale irrisoria di casi: basti pensare che nel primo anno sono stati operati 275 pazienti e ne sono stati sedati meno di 10.

Dal reclutamento al post operatorio

I pazienti vengono selezionati nell’ambulatorio di flebologia, che prevede sia l’accesso per le visite flebologiche sia l’accesso per la diagnostica con ecocolordoppler. I candidati vengono messi in lista di attesa, seguendo un protocollo interno appositamente dedicato che prevede delle liste di priorità.

Una volta in lista, le infermiere chiamano i pazienti per la cartella clinica, perché non eseguiamo un pre-ricovero con esami ematochimici, ECG o altri accertamenti pre-operatori. Almeno 15 giorni prima dell’intervento, viene compilata un’anamnesi molto accurata e la chiamata è fatta con una settimana di anticipo: sono periodi di tempo adeguati, anche perché i pazienti possono arrivare da fuori regione. A questo punto viene compilata l’impegnativa per l’intervento, vengono prescritte la calza e la profilassi con eparina e si fissa la data dell’intervento.

È importante sottolineare che ai pazienti viene fornito un opuscolo in cui si spiega che cos’è la malattia varicosa, quali sono i tutti i trattamenti indicati dalle linee guida (in generale, non solo nel nostro centro), qual è l’intervento più indicato per il loro caso, come viene fatta la termoablazione laser, quali sono i possibili rischi ed effetti collaterali. Poi naturalmente si procede con la compilazione del consenso informato e con tutte le indicazioni su come il paziente dovrà comportarsi prima e dopo l’intervento.

Il giorno dopo l’intervento viene fatta un primo ecocolordoppler di controllo e viene programmato il controllo successivo, oppure viene programmato l’intervento di ecosclerosi con schiuma per completare il trattamento dei rami collaterali.

Riassumendo, per tutte le fasi di registrazione, passaggio al CUP, mappatura ecografica, intervento e post-operatorio, il paziente rimane impegnato per circa due ore.

Uno sguardo al futuro

Il centro ha iniziato a funzionare in modo soddisfacente e con ottimi risultati. La stampa locale ha poi diffuso le informazioni sulla nuova opportunità d’intervento laser per la risoluzione delle varici, e quindi anche l’affluenza dei pazienti è aumentata: prima del mio arrivo, venivano eseguiti 20 interventi laser all’anno, dopo il mio arrivo a tutt’oggi, ho praticato quasi 500 interventi di EVLA. L’obiettivo dell’azienda è un ulteriore potenziamento per aggiungere almeno altri 100 pazienti all’anno. Ora siamo a circa sette mesi di attesa per il laser e 7-8 per l’ecosclerosi con schiuma e si rende ora necessaria una figura di assistente, almeno per la diagnostica.

Un modello vincente

L’Ambulatorio di Flebologia avanzata di Romano di Lombardia ha fatto da apripista per una tipologia organizzativa che nel nostro Paese ancora stenta ad affermarsi nel settore pubblico. Molti amministratori si lasciano spaventare dal costo del device, non considerando che i costi per l’azienda comprendono tutto il percorso nella struttura, da quando il paziente entra a quando esce. Complessivamente, il prototipo di una vein clinic sul modello statunitense, con interventi ambulatoriali mininvasivi, è nettamente vantaggioso anche in termini economici, senza contare il risparmio per il sistema sanitario nazionale, dovuto al fatto che si abbattono i rischi di eventuali complicanze tromboemboliche, prescrizioni di anticoagulanti, giorni di ricovero, giorni di assenza dal lavoro e altri costi sociali.

In conclusione, la mia personale raccomandazione è che il professionista che si prende in carico la gestione dell’ambulatorio di flebologia endovascolare si dedichi esclusivamente a questa attività. In altre parole, perché la struttura funzioni con la massima efficienza, occorre evitare che il chirurgo pratichi la chirurgia laser delle varici a latere di altre chirurgie generali o vascolari.

Speriamo che l’affermazione e successo della nostra Flebologia avanzata aiuti a superare le tante difficoltà culturali e politiche che finora hanno frenato la diffusione di questo modello organizzativo. 

Conclusioni

Il modello: l’Ambulatorio di Flebologia avanzata di Romano di Lombardia (Bg) si è sviluppato in pochi mesi, grazie a un’organizzazione razionale e agile delle risorse umane e della logistica.

I numeri: il Centro attualmente offre il trattamento di termoablazione laser delle varici in regime strettamente ambulatoriale a circa 300 pazienti all’anno, e i numeri sono destinati a crescere ancora.

Efficacia e tollerabilità: l’intervento impegna il paziente per un tempo molto limitato e riscuote un alto gradimento in termini di tollerabilità ed efficacia.

I costi: il trattamento ambulatoriale delle varici è economicamente conveniente, nonostante il device abbia un maggior costo rispetto alla chirurgia convenzionale.